Nelle coppie, chi più, chi meno, si tende tutti verso un ipotetico bilanciamento ideale di diritti e doveri (o almeno sarebbe carino tutti ci provassero). E ogni volta non si sa mai da che parte penderà l’ago della bilancia.
Quest’estate siamo stati in vacanza dalle mie parti in Abruzzo, sulla costa. Tanto per capirci, è il tipo di vacanza che mio marito detesta, ma si fa piacere perchè nostro figlio adora il mare.
Ad un certo punto mio marito ha fatto l’immancabile proposta di passeggiata in montagna: voleva vedere una cascata e per par condicio non si poteva dire di no.
Per arrivare alla suddetta fonte idrica, c’era un percorso definito “per famiglie”, quindi fattibile… col senno di poi, ho tanto la sensazione fosse per famiglie di camosci.
Dopo i primi 15 minuti la pendenza ha iniziato a farsi sentire ed il sentiero ha iniziato a riempirsi di roccia, tanto che in certi punti non si camminava più normalmente, ma si saliva appoggiando anche le mani a terra o tenendosi ai tronchi degli alberi.
Un altro po’ e mio marito ha iniziato a fermarsi e dire “Vabbè, se non ce la fate, lasciamo perdere”. Io ho guardato il bambino, che ce la faceva, valutato il mio stato di stanchezza e, nonostante dentro di me avessi un bradipo che si sbracciava come un naufrago su un’isola deserta al passaggio di una nave, ho insistito per continuare ad andare avanti.
Volevo sfidare la mia proverbiale pigrizia? Avevo un attimo di masochismo? Volevo far contento mio marito? Evitare le sue solite recriminazioni? Non lo so, un po’ tutto questo mescolato insieme. Continuavamo a camminare in silenzio, per risparmiare fiato ed energie, e, mentre mi chiedevo dove finisse la voglia di superare un mio limite e iniziasse l’andare al massacro, il mio umore andava via via scurendosi.
Ogni tanto mio marito continuava a dire “Vabbè, dai, torniamo indietro”, ma noi, io e mio figlio, andavamo avanti…finchè, dopo un’ora e mezza di sentieri, non ci siamo bloccati: abbiamo sentito un tuono, in un attimo io e mio marito ci siamo scambiati uno sguardo eloquente ed abbiamo fatto dietro front.
Tornando indietro il mio umore e le mie energie sono tornate a posto. Ci abbiamo provato, non è andata, ma non è stata colpa mia. Mio marito mi ha chiesto perchè non volessi tornare indietro ed io, che sono psicoterapeuta ma anche un essere umano come tanti altri, gli ho detto chiaramente che volevo farlo contento ed evitare che poi mi rinfacciasse di non avergli concesso la passeggiata in montagna.
E qui mi fermo un attimo e colgo la palla al balzo per parlare di due aspetti della comunicazione.
Il primo è la punteggiatura. Nelle interazioni a due ciò che fa uno può essere (è) contemporaneamente reazione a qualcosa e stimolo per una ulteriore reazione dell’altro, che a sua volta, in un ciclo ipoteticamente infinito, diventa un nuovo stimolo per una nuova reazione del primo. In base al modo in cui dividiamo e mettiamo l’accento su una piccola sequenza di questo processo, decidiamo in un certo senso “di chi è la colpa” se le cose vanno male (di solito dell’altro…noi siamo “innocenti” e stiamo solo rispondendo a, o difendendoci da, ciò che ci manda l’altro). In ogni momento, comunque, ognuno può decidere cosa fare: se continuare la sequenza o no.
Io avrei potuto insistere sul fatto, accaduto già altre volte, che poi lui avrebbe recriminato. Ma ho scelto di non farlo. Tutto sommato non è detto che ciò che è già accaduto debba per forza ripetersi.
Il secondo aspetto è la metacomunicazione, ossia il comunicare su ciò che accade in un processo di comunicazione, a livello più profondo. La comunicazione è costituita sempre da due parti, una che riguarda il contenuto, le informazioni che passano da una persona all’altra, ed una che riguarda la relazione che c’è tra le persone e come vanno interpretate le informazioni che sono state passate. L’aspetto di relazione definisce che tipo di legame c’è tra le persone e indirettamente serve a definire se stessi.
Cosa è successo in questo caso, tra i sentieri di montagna? Abbiamo iniziato a parlare di ciò che credevo io e ciò che si aspettava lui, della mia sensazione che quella vacanza non fosse molto distensiva per lui, sia per il mare, sia per il full immersion con la mia famiglia d’origine. Io mi sentivo in difetto con lui e cercavo di renderlo contento in un modo che poco aveva a che fare con la mia idea di vacanza… e questo mi rovinava l’umore. Tutto questo è accaduto dentro di me, senza che ne fossi cosciente, e avrebbe potuto sfociare in una discussione potenzialmente infinita.
Lui come ha risposto alla mia sincerità? Tranquillo e sereno, un po’ stupito, mi ha detto che in realtà andare al mare non era poi tanto male e che gli bastava essere stati un pomeriggio tra i boschi per dirsi che si era fatto un po’ di vacanza in montagna. Non mi avrebbe detto nulla se avessimo rinunciato prima al percorso, ed effettivamente sono passati mesi e non mi ha rinfacciato alcunchè.
Tornando a casa ho pensato a quante volte nella vita facciamo degli errori di valutazione, diamo per scontati i desideri, le intenzioni degli altri, portiamo avanti qualcosa trascinandoci e manifestando rancore e poi… poi gli altri avevano altri desideri ed altre intenzioni e tutta la nostra fatica poteva essere evitata.
Per ora solo una cosa è certa: non siamo arrivati fino alla cascata e l’anno prossimo ci sarà il rischio di riavere in ballo l’obiettivo non conseguito. Vabbè, l’anno prossimo vedremo cosa succederà e in quali itinerari dovrò traghettare il mio bradipo interiore.
Bibiografia
P. Watzlawick, J. Helmick Beavin, D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Casa Editrice Astrolabio, 1971.